Il sabato del villaggio (parte I)
Who wanted chords, all these progressions that have been used to death in rock? I'd use a knife, a beer bottle... Glass gave the best sound. To this day, I still don't know a single chord on the guitar.
-Lydia Lunch
Questo e' un post diviso in (credo 4) parti, solo al termine delle quali i piu' pazienti di voi comprenderanno il senso del titolo.
Un post che inizia Sabato mattina. Fabio che vaga tra le strade di Soho alla ricerca di qualcosa di cui parlare Martedi' nella versione radiofonica del blog. In realta' con la mente abbastanza vuota, quel vuoto che va bene per lasciarsi riempire di idee, se sei cosi' fortunato da incontrarne, e che altrimenti rimane un sonnacchioso spazio grgiastro un po' nebbioso dentro di te.
C'e' il Sole, contro le previsioni del giorno prima. La citta' si sta svegliando. Non e' un po' in tutte le citta' che a svegliarsi prima sono le periferie e poi, l'ultimo ad animarsi, spesso tutto di colpo, e' proprio il centro?
Guardo le vetrine delle gallerie d'arte mentre mi muovo tra quelle vie strette. La Anthony Reynolds e' proprio nel cuore di Soho ma devi un po' sapere dov'e' perche' non si vede dalla strada. Suoni il campanello e ti vengono ad aprire, e di solito sei l'unico visitatore, ma fanno sempre mostre interessanti.
Quella che ho visto ieri e' di un artista israeliano che si chiama Amikam Toren, e che mi ha fatto troppo pensare. Non so se la mostra mi sia piaciuta, ma mi ha troppo riportato alla mente la filosofia della No New York, ci sono parallelismi sconcertanti tra da un lato l'attuale rinascita della tecnica pittorica della quale parlano tutte le riviste d'arte (e Charles Saatchi, e Jay Jopling, e insomma i quattro o cinque galleristi che finiscono per dire la loro sui quotidiani britannici un giorno si' e l'altro anche) e dall'altro gli iconoclasti musicali newyorkesi della fine degli anni '70.
I vari Teenage Jesus, Mars, Contortions, DNA, ecc., a differenza di molte formazioni inglesi e tedesche che in quei giorni si innamoravano dei sintetizzatori, per principio usavano esclusivamente la classica strumentazione rock basso-chitarra-batteria. Addirittura Conny Burg dei Mars, Lydia Lunch dei Teenage Jesus e Pat Place dei Contortions (tre donne) in alcuni brani suonavano la slide guitar, e ditemi cosa c'e' di piu' tradizionale dello strumento principe della country music.
Il problema e' cosa ci fai con una chitarra o con un basso, se per esempio li suoni con un plettro, oppure come suggerisce Lydia Lunch nella frase di apertura di questo post con un coltello o una bottiglia di birra. L'effetto diventa profondamente critico, e puo' succedere, come di fatto successe in quegli anni, che gruppi che usavano strumentazioni tradizionali (in un contesto per altro di performance art) suonassero musiche davvero radicali, mentre la stragrande maggioranza delle synth bands usasse strumenti nuovi per riproporre strutture melodiche tradizionali.
E' un po' quello che mi sembra stia succedendo oggi nel mondo delle arti visive: alcuni degli artisti piu' visionari usano una tecnica tradizionale, qual e' la pittura, ma lo fanno in modo radicale, spingendosi oltre quello che una tecnica sfruttata ha saputo dire nel suo passato.
I risultati fanno riflettere, ci fanno vedere quello che conosciamo in una prospettiva nuova.
Amikam Toren ricicla quadri di quelli che io chiamo "i pittori dei Navigli" (chi e' di Milano capira'): acquerelli tradizionali di paesaggi idilliaci di quelli che non puoi non voltarti dall'altra parte quando li vedi. Su quelle tele incide frasi e parole che idilliache non sono affatto. Il fatto di usare un'incisione, di rompere quindi la tela dando ad essa profondita', e' altrettanto simbolico: si distrugge la superficie sottile, che nasconde la cruda realta', per dare la possibilita' alle contraddizioni di emergere.
Ieri mentre mi aggiravo tra i due piani della galleria mi domandavo se la video arte sa oggi esprimere prospettive altrettanto inedite oppure se, come accadeva con la musica 25 anni fa, molti videoartisti non stiano usando strumenti nuovi per ripetere concetti risaputi. Non ho una risposta, ma mi sembra un'ipotesi da esplorare (e che trova una qualche conferma, mi pare, nella Triennale 2006 della Tate).
Finisco di guardarmi attorno e chiedo qualche informazione in piu' alla gallerista. Scopro cosi' che e' italiana ed era un'ascoltatrice del vecchio London Calling. A me capitera' al massimo una volta all'anno che qualcuno mi riconosce, ma la cosa mi piace sempre da pazzi. Il fatto che qualcuno dopo 2 anni si ricordi ancora di London Calling (la versione in network) poi mi riempie di gioia.
Oggi ho trovato nella posta un articolo che mi aveva promesso di scansirmi. Sembra interessante ma lo voglio leggere per bene prima di parlarvene eventualmente. Se vale la pena aggiungo qualcosa in calce a questo post, gia' pero' troppo lungo (ma qualcuno li legge fino in fondo i post cosi' verbosi?).
Una biografia di Toren la trovate qui. Il sito della rivista da lui fondata, Wallpaper, e' questo, mentre questo e' il sito della Anthony Reynolds gallery.
Fine della prima parte, a domani per la seconda.
Who wanted chords, all these progressions that have been used to death in rock? I'd use a knife, a beer bottle... Glass gave the best sound. To this day, I still don't know a single chord on the guitar.
-Lydia Lunch
Questo e' un post diviso in (credo 4) parti, solo al termine delle quali i piu' pazienti di voi comprenderanno il senso del titolo.
Un post che inizia Sabato mattina. Fabio che vaga tra le strade di Soho alla ricerca di qualcosa di cui parlare Martedi' nella versione radiofonica del blog. In realta' con la mente abbastanza vuota, quel vuoto che va bene per lasciarsi riempire di idee, se sei cosi' fortunato da incontrarne, e che altrimenti rimane un sonnacchioso spazio grgiastro un po' nebbioso dentro di te.
C'e' il Sole, contro le previsioni del giorno prima. La citta' si sta svegliando. Non e' un po' in tutte le citta' che a svegliarsi prima sono le periferie e poi, l'ultimo ad animarsi, spesso tutto di colpo, e' proprio il centro?
Guardo le vetrine delle gallerie d'arte mentre mi muovo tra quelle vie strette. La Anthony Reynolds e' proprio nel cuore di Soho ma devi un po' sapere dov'e' perche' non si vede dalla strada. Suoni il campanello e ti vengono ad aprire, e di solito sei l'unico visitatore, ma fanno sempre mostre interessanti.
Quella che ho visto ieri e' di un artista israeliano che si chiama Amikam Toren, e che mi ha fatto troppo pensare. Non so se la mostra mi sia piaciuta, ma mi ha troppo riportato alla mente la filosofia della No New York, ci sono parallelismi sconcertanti tra da un lato l'attuale rinascita della tecnica pittorica della quale parlano tutte le riviste d'arte (e Charles Saatchi, e Jay Jopling, e insomma i quattro o cinque galleristi che finiscono per dire la loro sui quotidiani britannici un giorno si' e l'altro anche) e dall'altro gli iconoclasti musicali newyorkesi della fine degli anni '70.
I vari Teenage Jesus, Mars, Contortions, DNA, ecc., a differenza di molte formazioni inglesi e tedesche che in quei giorni si innamoravano dei sintetizzatori, per principio usavano esclusivamente la classica strumentazione rock basso-chitarra-batteria. Addirittura Conny Burg dei Mars, Lydia Lunch dei Teenage Jesus e Pat Place dei Contortions (tre donne) in alcuni brani suonavano la slide guitar, e ditemi cosa c'e' di piu' tradizionale dello strumento principe della country music.
Il problema e' cosa ci fai con una chitarra o con un basso, se per esempio li suoni con un plettro, oppure come suggerisce Lydia Lunch nella frase di apertura di questo post con un coltello o una bottiglia di birra. L'effetto diventa profondamente critico, e puo' succedere, come di fatto successe in quegli anni, che gruppi che usavano strumentazioni tradizionali (in un contesto per altro di performance art) suonassero musiche davvero radicali, mentre la stragrande maggioranza delle synth bands usasse strumenti nuovi per riproporre strutture melodiche tradizionali.
E' un po' quello che mi sembra stia succedendo oggi nel mondo delle arti visive: alcuni degli artisti piu' visionari usano una tecnica tradizionale, qual e' la pittura, ma lo fanno in modo radicale, spingendosi oltre quello che una tecnica sfruttata ha saputo dire nel suo passato.
I risultati fanno riflettere, ci fanno vedere quello che conosciamo in una prospettiva nuova.
Amikam Toren ricicla quadri di quelli che io chiamo "i pittori dei Navigli" (chi e' di Milano capira'): acquerelli tradizionali di paesaggi idilliaci di quelli che non puoi non voltarti dall'altra parte quando li vedi. Su quelle tele incide frasi e parole che idilliache non sono affatto. Il fatto di usare un'incisione, di rompere quindi la tela dando ad essa profondita', e' altrettanto simbolico: si distrugge la superficie sottile, che nasconde la cruda realta', per dare la possibilita' alle contraddizioni di emergere.
Ieri mentre mi aggiravo tra i due piani della galleria mi domandavo se la video arte sa oggi esprimere prospettive altrettanto inedite oppure se, come accadeva con la musica 25 anni fa, molti videoartisti non stiano usando strumenti nuovi per ripetere concetti risaputi. Non ho una risposta, ma mi sembra un'ipotesi da esplorare (e che trova una qualche conferma, mi pare, nella Triennale 2006 della Tate).
Finisco di guardarmi attorno e chiedo qualche informazione in piu' alla gallerista. Scopro cosi' che e' italiana ed era un'ascoltatrice del vecchio London Calling. A me capitera' al massimo una volta all'anno che qualcuno mi riconosce, ma la cosa mi piace sempre da pazzi. Il fatto che qualcuno dopo 2 anni si ricordi ancora di London Calling (la versione in network) poi mi riempie di gioia.
Oggi ho trovato nella posta un articolo che mi aveva promesso di scansirmi. Sembra interessante ma lo voglio leggere per bene prima di parlarvene eventualmente. Se vale la pena aggiungo qualcosa in calce a questo post, gia' pero' troppo lungo (ma qualcuno li legge fino in fondo i post cosi' verbosi?).
Una biografia di Toren la trovate qui. Il sito della rivista da lui fondata, Wallpaper, e' questo, mentre questo e' il sito della Anthony Reynolds gallery.
Fine della prima parte, a domani per la seconda.
Commenti
claudia
(qui al posto dei pittori dei Naviglio abbiamo i pittori del Ponte Vecchio, stessa identica cosa)
aspetto il seguito
però sono di corsa perchè come al solito sono in ritardo con il lavoro e non mi viene niente da dire, se non che il fine settimana appena passato era proprio quello dei pittori del naviglio, qui a Milano...
baci
Che poi una brutta (o almeno modesta) tela diventi un'opera d'arte quando viene deturpata me lo devono spiegare i Sigg.ri Critici Artistici, depositari della Sacra Sapienza Artistica e del relativo conto corrente.
AuroRT
Che il mondo dei critici d'arte e dei galleristi sia un circolo chiuso che non puo' non suscitare piu' di una certa resistenza e' sacrosanto (e da me almeno in molti casi condiviso), per cui capisco perfettamente il tuo commento. Pero' e' un esercizio pericoloso glorificare i pittori dei Navigli. E' come dire "onore ecc. ecc. ai musicisti della Buca" (Auro mi capisce, per tutti gli altri: balerona situata all'interno di un parco in un paese vicino a quello dove Auro e io siamo cresciuti). Meno male che c'e' chi, con ironia, si prende gioco della versione pittorica della "Mazurka di periferia" e compagnia. Poi, una cosa che non ho avuto tempo di commentare nel post, e' tutta la tematica del riciclaggio/ campionamento del passato, della rigenerazione/ recupero creativo. Il lavoro dei "pittori dei Navigli" diventa, in fondo, bello, nel senso che si carica di altri significati. Il fatto che le tele siano tagliate conferisce profondita'. C'e' un'idea interessante dietro tutto questo, almeno secondo me. E' sabotare, ma non deturpare (sono io che ho usato per primo quel termine, ma mi rendo conto che e' molto fuorviante).
Lophelia -
Conviene sondare le opinioni politiche dell'amministratore prima di chiedergli che devi assolutamente ascoltare Radio Popolare. Gia' io qui per trasmettere dall'ufficio devo ricorrere a stratagemmi da 007.