Naseema e' un'adolescente di Blackburn. Proviene da una famiglia muslim e trova lavoro presso un magazzino di carte da parati.

Nello stesso magazzino lavorano Adam e Michelle, coetanei di Naseema, entrambi inglesi.

Yousif, il fratello di Naseema, fa l'operaio in una fabbrica nella quale lavora anche il padre di Michelle.

Cosa succede se Naseema si innamora di Adam e Yusif inizia ad uscire con Michelle? In teoria non dovrebbe succedere nulla, non ci sarebbe materiale per un film.

E invece no, perche' su questa esile trama un regista della televisione inglese che si chiama Dominic Savage ha costruito un lungometraggio pieno di sentimenti contrastanti almeno quanto il suo titolo, "Love + hate".

Voi pensate che nell'Inghilterra del XXI secolo le coppie miste abbiano vita facile? A Londra si', certo, ce ne sono tante. Ma provate ad andare in un paese su al Nord, proprio come Blackburn.

Pub solo per bianchi, dove vieni buttato fuori e inseguito se alla domanda "Would you fuck a paki?" osi rispondere si'. Vetrine dei 7-11 gestiti da immigrati infrante a colpi di mattoni. Bianchi che nemmeno parlano con i muslim per timore del "giudizio della gente".

Al di la' della storia, un film come questo parla con immagini di desolata bellezza: interni di fabbriche e di magazzini, cantieri abbandonati coperti di graffiti, parcheggi deserti di centri commerciali ripresi di notte, tutto quel cemento, tutto quel grigio che in una cittadina dell'Inghilterra del Nord finisce per farsi strada dentro di te.

Savage (uno degli eredi del realismo sociale inglese di Loach e Leigh) decide che l'amore, alla fine di un tunnel di ripensamenti, rende liberi.

E' una visione ottimistica, un modo per chiudere un film che forse, se fosse stato una storia vera, sarebbe finito diversamente.

La musica di Keane e Snow Patrol (che qui in Inghilterra imperversa nelle radio) rende il tutto molto reale e credibile (tipo: immaginate la scena dalla quale e' tratto il fotogramma qui sopra con in sottofondo quel singolo famoso degli Snow Patrol del quale non ricordo il titolo ma molti di voi probabilmente si'. Fa il suo effetto no?).

Se lo incrociate in qualche festival o vedete in giro il DVD dategli un occhio, secondo me merita.

La scheda del film, dal sito della BBC che lo ha prodotto, la trovate qui.

Commenti

Unknown ha detto…
Bella segnalazione Fabio.
Ci fo' un pensiero.
Non ho mai conosciuto l'Inghilterra in questo modo.
lophelia ha detto…
Per la tematica mi farebbe venire in mente "Ae fond kiss" di Loach...da come ne parli però questo sembra focalizzarsi di più sul contesto...
artemisia ha detto…
Tematica molto interessante e attualissima qui in N, per esempio ragazze pakistane seconda generazione e ragazzi norvegesi, o viceversa...
Andrea ha detto…
a me questo film ha fatto venire in mente due cose:
- quando quelli del cinema di Bollywood si rendono conto che possono mettere dentro anche la "variabile" uomo/donna BIANCO/A raddoppiano istantaneamente il numero di pizzardoni che propinano ("ma davvero si puo' fareeee???")
- un film sui ragazzi e fatto da un ragazzo/a lo riconosci perche' ci sono queste high hopes, voglia di verita' assoluta, bianco contro nero, e, soprattutto, dove si corre, corre, corre
Anonimo ha detto…
ciao concittadino italo-londinese. scrivimi a: arnaldofusello@hotmail.com
Ho un paio di cose curiose da dirti.
A presto
Fabio ha detto…
Berso -

Spero che il film circoli al di fuori dell'Inghilterra. Non e' recitato benissimo, e' una recitazione un po' sopra le righe che richiama addirittura in certi frangenti i Bollywood movies, come osservava Andrea che l'ha visto insieme a me. Lo stile complessivo e' un po' da originale televisivo, piu' che da cinema. Ho l'impressione che, essendo un'opera prima, sia un po' una "prova" che non circolera' molto. Ma mi ha preso parecchio, al punto che ad alcuni personaggi mi sono quasi affezionato (quelli femminili, che secondo me sono definiti meglio nel complesso).

Lophelia -

E' proprio il film piu' prossimo a questo che anch'io ricordo. Devo pero' dire che a me "Ae fond kiss" e' piaciuto meno di quanto in genere mi piacciono i film di Loach. Se "Love + hate" ha un indiscutibile pregio, e' quello che il regista non ha un'eta' molto diversa da quella dei suoi personaggi. E' come vedere un certo mondo "da dentro", mentre l'occhio di Loach in "Ae fond kiss" resta un po' esterno, da osservatore non partecipante. Almeno a me ha dato quest'impressione.

Artemisia -

Quello che dici e' interessante soprattutto perche' tu vivi in una citta' non grandissima, nella quale la realta' dell'immigrazione, credo, sia piuttosto recente. In Norvegia, negli ostelli dove mi capitava di fermarmi, avevo incontrato degli "asylum seekers", ma per le strade una quindicina di anni fa vedevi quasi solo norvegesi. Londra e' naturalmente molto diversa, qui tutti trovano una comunita' di connazionali che puo' fornire la solidarieta' di base. Ma pensa cosa puo' significare per una persona cresciuta in un sobborgo di Islamabad finire a vivere a Trondheim, quale rivoluzione culturale deve attraversare. [Tra l'altro: sono curioso di sapere cosa ti ha portata da Firenze a Trondheim, me lo racconterai Lunedi', se ti va naturalmente].

Andrea -

Proprio come dici, ho letto il tuo commento dopo avere risposto a Lophelia a proposito delle similitudini/ differenze con "Ae fond kiss", ma secondo me centri molto il punto. E' un film fatto da "uno di loro" in fondo, un ragazzo come quelli che vedi sullo schermo. E' tutta la settimana che mi vengono in mente 2 cose, come se la mia mente le avesse agganciate, prese dentro, e dovessi analizzarle con calma. La prima sono le espressioni incredule tua, di Ilaria, di Noah e di Aurelia quando dopo il film ho detto che mi sarebbe piaciuto passare 6 mesi a Blackburn, e il vostro conseguente simultaneo "Six months? Six days maybe!" che avete detto. A me invece piacerebbe provare la vita in una cittadina inglese del Nord, davvero. La seconda, faccio un OT a me stesso, e' una frase che mi ha scritto in una mail un'amica e lettrice di London Calling (che direi che lascerei anonima): da vicino nessuno e' normale. Ci penso in continuazione a quella frase. Scusa l'OT Fabio.

Arnaldo -

Io ti ho scritto, anche se non credo ci conosciamo. Ma figurati se, curioso come sono, mi lascio sfuggire le due cose che mi devi dire.
artemisia ha detto…
Fabio: la Norvegia da quindici anni a questa parte è cambiata moltissimo. Relativamente parlando, il numero di non norvegesi (e non lapponi...)a Oslo, Bergen e Trondheim si è moltiplicato. A Oslo ci sono grandi comunità di pakistani e curdi. Bollywood regna sovrana in molte zone di Oslo. I conflitti razziali però sono pochi. Un grosso problema è piuttosto il conflitto che devono vivere ragazze pakistane nate qui e costrette a matrimoni combinati dalla famiglia per far venire qui qualcuno dal Pakistan, ragazze cresciute in una società scandinava che si ritrovano in un mondo che rifiutano. In alcuni casi è andata a finire male.

Poi: non sono venuta direttamente da Firenze a Trondheim! Te lo racconto se hai tutta la notte, forse. Ma non so neanche se te lo racconto...vedremo.
Fabio ha detto…
Il film racconta proprio quel tipo di conflitti Artemisia. Naseema e' in fondo integrata nel tessuto sociale inglese (pur essendo, di carattere, una ragazza riflessiva e riservata). Yusif, il fratello, invece cova risentimento nei confronti degli inglesi. Il conflitto si svolge all'interno della stessa famiglia, come nell'esempio che fai tu.
Andrea ha detto…
mi stupisce molto la situazione descritta da artemisia: il nostro ex padrone di casa (pakistano) si e' sposato e attende la moglie in inghilterra. Mi torna difficile pensare a una ragazza pakistana che fa muovere il marito fino a qua, mi sembra un'apertura mentale interessante! (ma forse e' solo un metodo per qualcuno di scappare dal pakistan...)
artemisia ha detto…
Andrea, ma è proprio questo il punto: che per molti pakistani venire a vivere in Inghilterra o in Norvegia è come vincere al lotto (economicamente). Da qui la problematica delle ragazze che vengono costrette con vari gradi di coercizione, a volte solo emotiva, a sposarsi con sconosciuti o cugini di primo grado (poi vediamo i figli in ospedale). È il conflitto tra due mentalità, quella che guarda alla famiglia, alle alleanze tra parenti, e quella occidentale nella quale bene o male queste ragazze sono cresciute. Di fatto, per molte è difficile rompere con questa logica perchè significa "rompere" con la loro famiglia, e spesso hanno pochi contatti sociali con i norvegesi. Il problema (anche politico) è stabilire fin dove arriva il fenomeno culturale che va rispettato e dove comincia l sfruttamento femminile.
Anonimo ha detto…
Che bella e interessantissima discussione che si é sviluppata.
Qua la situazione é simile a quella descritta da Artemisia, solo con l'aggravante delle tensioni sociali. È storia di pochi mesi fa l'aggressione da parte di due tedeschi ad un turco naturalizzato tedesco.
Le concause sono purtroppo tante e di diverso tipo, mi dispiace solo che spesso quelli di cultura e lingua diversa vengano visti come nemici invece che anche come arricchimento.
Poi il discorso sarebbe lungo e difficile, e io non ho soluzioni, ma solo dubbi e domande.
Qua a Freiburg la situazione é comunque molto tranquilla, forse perchè provincia, più probabilmente perchè la mentalità qua é più aperta, città universitaria, di confine, da sempre abituata all'arrivo di persone nuove,tra i primi gli italiani.
Fabio ha detto…
Andrea, Artemisia & Baebs -

Guardando i risultati delle recenti elezioni amministrative britanniche, dove il razzista British National Party ha raddoppiato i suoi seggi, uno si rende conto che alcuni dei condizionamenti che poi portano alle situazioni delle quali stiamo parlando arrivano, in qualche modo inevitabilmente, dal substrato economico. Non a caso, il BNP e' cresciuto solo in zone estremamente povere. Qui a Londra, per esempio, nell'East End di Barking, tradizionalemnete operaio e oggi con un tasso di disoccupazione elevatissimo. Un sistema liberista come quello britannico, con ammortizzatori sociali davvero labili (laddove esistono), sembra fatto apposta per scatenare guerre tra le classi meno privilegiate. A farne le spese sono gli immigrati, che solo in zone come Barking possono permettersi di vivere, e che finiscono per essere sempre piu' isolati, segregati rispetto alla comunita' dei nativi inglesi. E quindi finiscono per ricreare, con i ricongiungimenti familiari che dite, comunita' in qualche modo autonome, micro-societa' separate dal contesto sociale piu' ampio. Del resto qui in Inghilterra si sente ancora l'onda lunga della Thatcher: "There's no such thing as society, there are only individuals". In tutti questi anni Blair nulla ha fatto per cancellare quella frase infelice dalla coscienza collettiva britannica (ammesso che ne esista una, ovvio).
Andrea ha detto…
devo dire che quando si parla di "pakistan" io penso comunque a questo landlord che e' diventato amico carissimo. E' davvero intrigante parlare con questa persona, vedere come i condizionamenti della sua cultura si mischiano al suo essere inglese da ormai sette anni. Si rende conto che il modello femminile come percepito in Pakistan e' molto arretrato, ma cerca continuamente di muoversi, migliorare, non stagnare nei preconcetti. Pero', come sa Ilaria, a volte gli escono queste rimembranze da uomo-padrone che farebbero salire la bava alla bocca ogni femminista...

Ricordo un prete responsabile di una comunita' di ragazzi a rischio dire: "nonostante il padre sia uno spacciatore e la mamma puttana, questi ragazzi cercheranno sempre di tornare alla loro famiglia"
artemisia ha detto…
Andrea, è verissimo quello che dici, ed è il presupposto per qualsiasi cosa si voglia fare per favorire l'integrazione.

Bisogna sempre partire dal fatto che togliere la propria cultura ad un gruppo etnico (aspetti positivi e negativi di essa) porta solo problemi. Non vorrei essere sembrata eurocentrica e moralizzante. Il problema è complesso e ha mille sfaccettature.
Fabio ha detto…
Andrea e Artemisia -

Piu' di una volta mi e' capitato scrivendo London Calling di sentirmi inadeguato a scrivere su un tema che pure mi interessa, e questa e' una di quelle volte. Dobbiamo tutti quanti, forse, fare un passo indietro, e ammettere che e' piu' quello che non sappiamo di quello che invece conosciamo. Mi viene in mente un'intervista a Ian McKaye dei Fugazi/ Minor Threat, nella quale lui sosteneva di sapere come si poteva sentire una donna che aveva subito uno stupro. Sono cose che non stanno ne' in cielo ne' in terra. Come si sente, dentro di se', una ragazzina medio orientale che va a una scuola inglese ma alla quale la famiglia chiede di indossare il chador? Noi non lo sappiamo. Immagino il conflitto interiore, ma posso solo averne una vaga idea, perche' non l'ho mai provato. Questo per confessarvi quanto mi sento inadeguato a parlare di queste cose. Per forza di cose i nostri commenti peccano di eurocentrismo. Perche' non conosciamo abbastanza la loro cultura e non ci sono libri ne' film che ci possono permettere di "entrarci dentro". Sono solo io a sentirmi inadeguato o capita anche a voi?
artemisia ha detto…
Credo si debba diffidare da quelli che si sentono adeguati a parlare di tutto.

L'onestà intellettuale è la dote che più apprezzo in una persona.
Fabio ha detto…
Grazie per le tue parole Artemisia. Credo che sia un fatto legato agli anni che passano. Piu' tempo trascorre e meno mi sembra di capire. Pensare che a 20 anni credevo di avere una risposta per tutto...