Ma se io avessi previsto tutto questo (ovvero: i sogni sono bellissimi fino a un istante prima che diventino realta')
Devo ancora iniziare a scriverlo, ma sento che questo sara' un post di quelli lunghi, come quelli che ero solito scrivere e che per mancanza di tempo non riesco piu' a buttare giu'. Da stampare, se vi interessa il tema, e leggere con calma quando avete tempo.
Post che comincia da un capolavoro visto Domenica al solito Barbican. Cinema 2, quello al quale si arriva percorrendo la galleria sospesa sul giardino. Regista Terence Davies, uno dei grandi vecchi del cinema inglese. Titolo: Of time and the city.
Non so se sia stato distribuito in Italia. In fondo perche' avrebbero dovuto. Per sintetizzare molto, un documentario che e' un atto di amore nei confronti della citta' dove Davies e' cresciuto, la Liverpool degli anni sospesi tra la guerra e i Beatles.
Pura poesia, costruita con spezzoni e fotografie di repertorio, professionali e amatoriali. Commento fatto di citazioni di Mahler, Eliot, Joyce. Sosteneva Marco dopo il film che il voiceover di Davies funzionerebbe molto bene anche come libro. Condivido. Comunque. Sei li' nella sala buia che contempli quell'Inghilterra povera, dignitosa e bellissima, quando ad un certo punto del film Davies decide di mostrare brevemente l'Inghilterra di oggi. E la rappresenta con la sua espressione piu' tipica di questi anni, il binge drinking, con tutte le sue conseguenze che chi vive da queste parti ha imparato a conoscere assai bene.
***
Fast forward adesso. Ogni tanto mi capita di fare un giretto tra i blog linkati della colonnina qui di fianco. Ieri nel blog di Riccardo (londinese da quattro anni) ho letto un post interessante, decisamente in linea con le considerazioni che Marco e io abbiamo fatto dopo avere visto il film di Davies. Ve ne trascrivo alcuni frammenti, dopo aver ottenuto il suo permesso:
Ma capita di essere in fila alla cassa di un supermercato e di sbirciare nel carrello della spesa del vicino, un rubicondo e imbambolato inglesotto fresco d’ufficio, con i gemelli ai polsi e i pantaloni con l’orlo sopra la caviglia. Sbirci e ci trovi la solita, tristissima confezione di tandoori precotto, e un bricco di succo di mirtilli (Per i lettori italiani: non si tratta certo di una scelta salutista, ma di succo Ribena, una specie di sciroppaccio zuccheroso, imbevibile. NdF). E ti chiedi perchĆ©.
E ci si ritrova tutti assieme, tra colleghi, dopo una settimana lunga e pregna di scadenze importantissime, e ti accorgi di essere l’unico fermo ancora alla prima birra mentre loro, quattro pinte dopo, sono giĆ tutti persi nel loro fantastico mondo di cazzate anglo-centriche, battute da ubriachi su altra gente ubriaca. E ti chiedi cosa abbia spinto questa nazione all’apparenza moderna a ridursi cosƬ, in un branco di decerebrati che il venerdƬ (ogni venerdƬ), a qualsiasi classe sociale appartengano, ingurgitano quantitĆ alcoliche fuori norma dimenticandosi di mangiare, se si eccettua il kebab plastificato raccattato sulla via di casa.
Li vedi tornare a casa dopo una serata alcolica e ti trovi di fronte a uno spettacolo sociologico di difficile lettura: alcuni sono senza scarpe, come se fosse il 1500.
Ti immergi nella loro cultura per capirne i meccanismi e ti accorgi che sono molto rudimentali, azione-reazione alla massima potenza; quella che molti ritengono una societĆ civile e progredita e’ in realtĆ un insieme di uomini e donne con serie difficoltĆ di socializzazione e profonde lacune culturali riguardo a qualunque cosa esuli dall’asse anglo-americano. Musica, letteratura, cinema, arte. Tutto.
Il loro rispetto delle regole, efficace e necessario al corretto funzionamento di un sistema-nazione, cela in realtĆ la totale incapacitĆ di ribellarsi o anche solo obiettare a una norma, per quanto stupida e ridondante essa sia.
Non si tratta quindi di senso civico, ma di concreta impossibilitĆ d’azione autonoma fuori dal solco tracciato dalle abitudini nazionali, una totale mancanza d’iniziativa personale: ecco perchĆ©, una volta giunti a Ibiza o a Mykonos, non sentendo piĆ¹ il freno oppressivo della patria sulle loro teste bionde, indulgono in devastazioni e scorribande, scatenando i loro sopiti istinti barbarici.
Vedendoli da vicino, osservandoli mentre t’invitano a bere una birra dopo l’ufficio per email nonostante siano seduti di fronte a te, arrivi a sospettare che gran parte dei loro vanti nazionali (l’assenza di eserciti stranieri sul loro suolo dal 1066, l’immenso impero coloniale, la rivoluzione industriale) si siano in realtĆ verificati per caso o comunque per una serie di fortunate combinazioni: prima fra tutte, quella di essere un’isola.
Vivendoci in mezzo, gomito a gomito in ufficio e schiena contro schiena in metropolitana, li guardi leggere i loro assurdi tabloid o qualche improbabile best-seller psico-horror e ti rendi conto di quanto ingannevoli siano le statistiche e i numeri sparati sui giornali: “gli inglesi leggono il doppio dei francesi e due volte e mezzo in piĆ¹ degli italiani”, ma fermatevi un attimo a considerare che il Sun ha una tiratura di tre milioni e mezzo di copie, e in Italia non lo troveresti nemmeno dal barbiere.
I quotidiani d’informazione normali rimangono nettamente sotto il milione, umiliati dalle tette in terza pagina.
[...]
Un paese dove scorrazzano ottanta milioni di topi.
Un paese dove non si produce piĆ¹ nulla.
La seconda potenza economica europea.
***
Non ho molto da aggiungere a quello che ha scritto Riccardo. E' uno scritto tristemente umoristico, ma purtroppo molto molto reale. Chi vive da queste parti ci si sara' ritrovato.
Solo alcune osservazioni a margine:
1) Quella inglese e' una societa' incredibilmente classista. L'indolenza e il cosiddetto rispetto delle regole di questo Paese hanno storicamente impedito qualsiasi progresso sociale. Non c'e' stata una rivoluzione di matrice borghese come e' stata per esempio la Rivoluzione Francese, non c'e' stata la Resistenza, e gli sparuti, minoritari movimenti operai e sindacali sono stati spazzati via appena la Thatcher ha preso il potere proclamando, ricorderete, che non esiste la societa', esistono solo individui
2) Le conseguenze sono immediatamente evidenti. In questo Paese esistono ancora la monarchia, i nobili, i Lord, i Sir. In qualunque Paese continentale Elisabetta Windsor e la sua corte di parassiti sociali sarebbero stati detronizzati e presi a calci nel culo nella pubblica piazza. Qui no. Il sistema della proprieta' e' ispirato a leggi di stampo feudale. Per esempio, anche se compri una casa sei costretto a pagare ogni anno un ground rent alla nobilta'. Per quale ragione, non si capisce. Non inizio nemmeno a parlare di concetti quali leasehold, share of freehold, ecc. Chi desidera puo' approfondire, consultando Wikipedia. Dico solo che in qualsiasi democrazia repubblicana europea queste figure legali sono state superate da almeno un secolo, ma non qui
3) La conseguenza piu' sconcertante per chi arriva qui da una democrazia europea, e' scoprire che quella inglese e' una societa' spaventosamente classista, quasi un sistema di caste. O hai la fortuna di nascere nobile, e allora studi e Eton e Oxford e ti si aprono strade e prospettive socio-culturali privilegiate. Oppure quella che ti aspetta e' una vita terrificante, fatta di birra, calcio, Big Bruv, Sun, Topshop, cinema Odeon e Oasis. In mezzo non c'e' nulla
4) La seconda conseguenza che risulta immediatamente evidente e' quanto in questo Paese la cultura e' equiparabile a un bene di lusso, una cosa per privilegiati. Guardate, non mi illudo, so bene che e' cosi' un po' dappertutto. Ma qui infinitamente di piu'. Esiste questo solco profondo, apparentemente inspiegabile. Chi frequenta Daunt Books, il Barbican, il Southbank, il Sadler's Wells e' forse il 5% della popolazione. Nell'Europa continentale la cultura e' infinitamente piu' diffusa in strati sociali ampi. E' un valore, qualcosa alla quale ti insegnano ad ambire. Qui questa ambizione e', nel 95% della popolazione inglese che e' poi quella che corrisponde al ritratto descritto da Riccardo, del tutto assente
5) Sui quotidiani inglesi, descritti da Riccardo, mi sono fatto una mia opinione. Dei quotidiani popolari non dico nulla, ha gia' detto tutto lui. Sono una cosa francamente imbarazzante, una vergogna nazionale diffusa ovunque. I quotidiani cosiddetti di qualita', pure quelli alla fine nel complesso li trovo abbastanza mediocri. L'Independent, dopo il restyling e' diventato illeggibile. Per dire, ieri parlava di Obama con titolone strillato in prima pagina: Come si veste un presidente. Ma che cazzo me ne frega di come si veste, dimmi cosa sostiene, raccontami il suo programma, le sue priorita'. Il Telegraph sembra scritto da giornalisti che hanno vissuto nel diciannovesimo secolo. Il Times e' facile da leggere perche' e' quello che piu' di tutti sembra un quotidiano europeo, ma ha articoli insopportabilmente piatti. Il Guardian si salva nella sezione commenti, ma soffre di un'impaginazione surreale che sembra una composizione random di Cage. L'unica perla del giornalismo britannico e' a mio parere l'FT Weekend, che trovo assolutamente impeccabile in tutto. (Per il resto, nota personale a margine, confesso di leggere tutti i giorni Repubblica, che trovo all'edicola del Barbican, ed e' la mia copertina di Linus quotidiana - che senso ha iniziare la giornata senza l'Amaca di Serra?)
6) Di Londre ce ne sono tre. Ben distinte, che non si parlano tra di loro (forse con la sola eccezione che indico qui sotto). Esiste la Londra descritta da Riccardo, che piu' o meno, tristemente, rappresenta il 95% della popolazione inglese di questa citta'. Esiste un'altra Londra, che incontri in zone ben delimitate, autentiche enclavi socialmente poco permeabili dall'esterno (Hampstead Village, la zona di Fitzrovia attorno a Marylebone High Street, Primrose Hill, certe vie di Bloomsbury, la parte di Notting Hill che scende verso Holland Park). E' una Londra colta e benestante, una Londra che pensa, che ha adottato stili di vita, culturali, di alimentazione, di abbigliamento, di stile che si collocano all'altezza delle migliori espressioni culturali europee. Infine c'e' la Londra di chi non e' nato qui, che e' una Londra vivace e curiosa, composta da studenti, professionisti, ricercatori che sono giunti in questo angolo di mondo da ogni parte del pianeta. Che e' poi quella che guarda sgomenta la Londra descritta da Riccardo. E che nonostante non ne sia naturalmente parte, riesce almeno in parte a integrarsi con quella che ho chiamato l'altra Londra.
Mi fermo qui. Ho approfittato di questo post per chiarirmi un po' le idee, scrivendole. Naturalmente, non e' detto che non possa rivedere in futuro queste mie considerazioni, ne' che non le possa affinare. Ma per il momento, dopo 7 anni qui, questa e' la mia versione dei fatti.
E adesso torniamo da dove abbiamo iniziato questo post, e godiamoci il trailer di Of time and the city:
Post che comincia da un capolavoro visto Domenica al solito Barbican. Cinema 2, quello al quale si arriva percorrendo la galleria sospesa sul giardino. Regista Terence Davies, uno dei grandi vecchi del cinema inglese. Titolo: Of time and the city.
Non so se sia stato distribuito in Italia. In fondo perche' avrebbero dovuto. Per sintetizzare molto, un documentario che e' un atto di amore nei confronti della citta' dove Davies e' cresciuto, la Liverpool degli anni sospesi tra la guerra e i Beatles.
Pura poesia, costruita con spezzoni e fotografie di repertorio, professionali e amatoriali. Commento fatto di citazioni di Mahler, Eliot, Joyce. Sosteneva Marco dopo il film che il voiceover di Davies funzionerebbe molto bene anche come libro. Condivido. Comunque. Sei li' nella sala buia che contempli quell'Inghilterra povera, dignitosa e bellissima, quando ad un certo punto del film Davies decide di mostrare brevemente l'Inghilterra di oggi. E la rappresenta con la sua espressione piu' tipica di questi anni, il binge drinking, con tutte le sue conseguenze che chi vive da queste parti ha imparato a conoscere assai bene.
***
Fast forward adesso. Ogni tanto mi capita di fare un giretto tra i blog linkati della colonnina qui di fianco. Ieri nel blog di Riccardo (londinese da quattro anni) ho letto un post interessante, decisamente in linea con le considerazioni che Marco e io abbiamo fatto dopo avere visto il film di Davies. Ve ne trascrivo alcuni frammenti, dopo aver ottenuto il suo permesso:
Ma capita di essere in fila alla cassa di un supermercato e di sbirciare nel carrello della spesa del vicino, un rubicondo e imbambolato inglesotto fresco d’ufficio, con i gemelli ai polsi e i pantaloni con l’orlo sopra la caviglia. Sbirci e ci trovi la solita, tristissima confezione di tandoori precotto, e un bricco di succo di mirtilli (Per i lettori italiani: non si tratta certo di una scelta salutista, ma di succo Ribena, una specie di sciroppaccio zuccheroso, imbevibile. NdF). E ti chiedi perchĆ©.
E ci si ritrova tutti assieme, tra colleghi, dopo una settimana lunga e pregna di scadenze importantissime, e ti accorgi di essere l’unico fermo ancora alla prima birra mentre loro, quattro pinte dopo, sono giĆ tutti persi nel loro fantastico mondo di cazzate anglo-centriche, battute da ubriachi su altra gente ubriaca. E ti chiedi cosa abbia spinto questa nazione all’apparenza moderna a ridursi cosƬ, in un branco di decerebrati che il venerdƬ (ogni venerdƬ), a qualsiasi classe sociale appartengano, ingurgitano quantitĆ alcoliche fuori norma dimenticandosi di mangiare, se si eccettua il kebab plastificato raccattato sulla via di casa.
Li vedi tornare a casa dopo una serata alcolica e ti trovi di fronte a uno spettacolo sociologico di difficile lettura: alcuni sono senza scarpe, come se fosse il 1500.
Ti immergi nella loro cultura per capirne i meccanismi e ti accorgi che sono molto rudimentali, azione-reazione alla massima potenza; quella che molti ritengono una societĆ civile e progredita e’ in realtĆ un insieme di uomini e donne con serie difficoltĆ di socializzazione e profonde lacune culturali riguardo a qualunque cosa esuli dall’asse anglo-americano. Musica, letteratura, cinema, arte. Tutto.
Il loro rispetto delle regole, efficace e necessario al corretto funzionamento di un sistema-nazione, cela in realtĆ la totale incapacitĆ di ribellarsi o anche solo obiettare a una norma, per quanto stupida e ridondante essa sia.
Non si tratta quindi di senso civico, ma di concreta impossibilitĆ d’azione autonoma fuori dal solco tracciato dalle abitudini nazionali, una totale mancanza d’iniziativa personale: ecco perchĆ©, una volta giunti a Ibiza o a Mykonos, non sentendo piĆ¹ il freno oppressivo della patria sulle loro teste bionde, indulgono in devastazioni e scorribande, scatenando i loro sopiti istinti barbarici.
Vedendoli da vicino, osservandoli mentre t’invitano a bere una birra dopo l’ufficio per email nonostante siano seduti di fronte a te, arrivi a sospettare che gran parte dei loro vanti nazionali (l’assenza di eserciti stranieri sul loro suolo dal 1066, l’immenso impero coloniale, la rivoluzione industriale) si siano in realtĆ verificati per caso o comunque per una serie di fortunate combinazioni: prima fra tutte, quella di essere un’isola.
Vivendoci in mezzo, gomito a gomito in ufficio e schiena contro schiena in metropolitana, li guardi leggere i loro assurdi tabloid o qualche improbabile best-seller psico-horror e ti rendi conto di quanto ingannevoli siano le statistiche e i numeri sparati sui giornali: “gli inglesi leggono il doppio dei francesi e due volte e mezzo in piĆ¹ degli italiani”, ma fermatevi un attimo a considerare che il Sun ha una tiratura di tre milioni e mezzo di copie, e in Italia non lo troveresti nemmeno dal barbiere.
I quotidiani d’informazione normali rimangono nettamente sotto il milione, umiliati dalle tette in terza pagina.
[...]
Un paese dove scorrazzano ottanta milioni di topi.
Un paese dove non si produce piĆ¹ nulla.
La seconda potenza economica europea.
***
Non ho molto da aggiungere a quello che ha scritto Riccardo. E' uno scritto tristemente umoristico, ma purtroppo molto molto reale. Chi vive da queste parti ci si sara' ritrovato.
Solo alcune osservazioni a margine:
1) Quella inglese e' una societa' incredibilmente classista. L'indolenza e il cosiddetto rispetto delle regole di questo Paese hanno storicamente impedito qualsiasi progresso sociale. Non c'e' stata una rivoluzione di matrice borghese come e' stata per esempio la Rivoluzione Francese, non c'e' stata la Resistenza, e gli sparuti, minoritari movimenti operai e sindacali sono stati spazzati via appena la Thatcher ha preso il potere proclamando, ricorderete, che non esiste la societa', esistono solo individui
2) Le conseguenze sono immediatamente evidenti. In questo Paese esistono ancora la monarchia, i nobili, i Lord, i Sir. In qualunque Paese continentale Elisabetta Windsor e la sua corte di parassiti sociali sarebbero stati detronizzati e presi a calci nel culo nella pubblica piazza. Qui no. Il sistema della proprieta' e' ispirato a leggi di stampo feudale. Per esempio, anche se compri una casa sei costretto a pagare ogni anno un ground rent alla nobilta'. Per quale ragione, non si capisce. Non inizio nemmeno a parlare di concetti quali leasehold, share of freehold, ecc. Chi desidera puo' approfondire, consultando Wikipedia. Dico solo che in qualsiasi democrazia repubblicana europea queste figure legali sono state superate da almeno un secolo, ma non qui
3) La conseguenza piu' sconcertante per chi arriva qui da una democrazia europea, e' scoprire che quella inglese e' una societa' spaventosamente classista, quasi un sistema di caste. O hai la fortuna di nascere nobile, e allora studi e Eton e Oxford e ti si aprono strade e prospettive socio-culturali privilegiate. Oppure quella che ti aspetta e' una vita terrificante, fatta di birra, calcio, Big Bruv, Sun, Topshop, cinema Odeon e Oasis. In mezzo non c'e' nulla
4) La seconda conseguenza che risulta immediatamente evidente e' quanto in questo Paese la cultura e' equiparabile a un bene di lusso, una cosa per privilegiati. Guardate, non mi illudo, so bene che e' cosi' un po' dappertutto. Ma qui infinitamente di piu'. Esiste questo solco profondo, apparentemente inspiegabile. Chi frequenta Daunt Books, il Barbican, il Southbank, il Sadler's Wells e' forse il 5% della popolazione. Nell'Europa continentale la cultura e' infinitamente piu' diffusa in strati sociali ampi. E' un valore, qualcosa alla quale ti insegnano ad ambire. Qui questa ambizione e', nel 95% della popolazione inglese che e' poi quella che corrisponde al ritratto descritto da Riccardo, del tutto assente
5) Sui quotidiani inglesi, descritti da Riccardo, mi sono fatto una mia opinione. Dei quotidiani popolari non dico nulla, ha gia' detto tutto lui. Sono una cosa francamente imbarazzante, una vergogna nazionale diffusa ovunque. I quotidiani cosiddetti di qualita', pure quelli alla fine nel complesso li trovo abbastanza mediocri. L'Independent, dopo il restyling e' diventato illeggibile. Per dire, ieri parlava di Obama con titolone strillato in prima pagina: Come si veste un presidente. Ma che cazzo me ne frega di come si veste, dimmi cosa sostiene, raccontami il suo programma, le sue priorita'. Il Telegraph sembra scritto da giornalisti che hanno vissuto nel diciannovesimo secolo. Il Times e' facile da leggere perche' e' quello che piu' di tutti sembra un quotidiano europeo, ma ha articoli insopportabilmente piatti. Il Guardian si salva nella sezione commenti, ma soffre di un'impaginazione surreale che sembra una composizione random di Cage. L'unica perla del giornalismo britannico e' a mio parere l'FT Weekend, che trovo assolutamente impeccabile in tutto. (Per il resto, nota personale a margine, confesso di leggere tutti i giorni Repubblica, che trovo all'edicola del Barbican, ed e' la mia copertina di Linus quotidiana - che senso ha iniziare la giornata senza l'Amaca di Serra?)
6) Di Londre ce ne sono tre. Ben distinte, che non si parlano tra di loro (forse con la sola eccezione che indico qui sotto). Esiste la Londra descritta da Riccardo, che piu' o meno, tristemente, rappresenta il 95% della popolazione inglese di questa citta'. Esiste un'altra Londra, che incontri in zone ben delimitate, autentiche enclavi socialmente poco permeabili dall'esterno (Hampstead Village, la zona di Fitzrovia attorno a Marylebone High Street, Primrose Hill, certe vie di Bloomsbury, la parte di Notting Hill che scende verso Holland Park). E' una Londra colta e benestante, una Londra che pensa, che ha adottato stili di vita, culturali, di alimentazione, di abbigliamento, di stile che si collocano all'altezza delle migliori espressioni culturali europee. Infine c'e' la Londra di chi non e' nato qui, che e' una Londra vivace e curiosa, composta da studenti, professionisti, ricercatori che sono giunti in questo angolo di mondo da ogni parte del pianeta. Che e' poi quella che guarda sgomenta la Londra descritta da Riccardo. E che nonostante non ne sia naturalmente parte, riesce almeno in parte a integrarsi con quella che ho chiamato l'altra Londra.
Mi fermo qui. Ho approfittato di questo post per chiarirmi un po' le idee, scrivendole. Naturalmente, non e' detto che non possa rivedere in futuro queste mie considerazioni, ne' che non le possa affinare. Ma per il momento, dopo 7 anni qui, questa e' la mia versione dei fatti.
E adesso torniamo da dove abbiamo iniziato questo post, e godiamoci il trailer di Of time and the city:
Commenti
Faccio eccezione alla regola di cancellare gli interventi anonimi nel tuo caso, pero' ti pregherei di firmarti la prossima volta, OK?
Io non credo che ci sia nulla di razzista o intollerante in quello che ho scritto (parlo di quello che ho scritto io, se vorra' Riccardo ti rispondera' a proposito di quello che ha scritto lui), ne' per la verita' sento un particolare bisogno di difendermi da tale critica.
Credo di avere descritto, per come ne sono capace, alcune particolarita' della societa' inglese, partendo da fatti. Se vivi qui, per esempio, non ti sara' sfuggito che una camera del Parlamento inglese e' formata interamente da nobili. In quale democrazia repubblicana europea c'e' una camera dei Lord? In quale democrazia repubblicana europea i nobili hanno una rendita sulla terra sulla quale sorgono le abitazioni dei comuni cittadini?
Anzi, ti pregherei, se hai voglia e tempo, di indicarmi le parti dei sei punti da me scritti che ti sono sembrate razziste o intolleranti, perche' pur avendo riletto criticamente quello che ho scritto ieri non le ho proprio trovate.
Non giudico peraltro, descrivo. E francamente, la soluzione che suggerisci, prendere le cose "un po'piu'alla leggera", raramente mi sembra funzionare, in questo caso cosi' come in altri.
Cioe', dovremmo smettere di pensare e prendere le cose come vengono? Quando nella mia vita ci ho provato, sono andato alla deriva in quattro e quattr'otto...
(Sai che non ho pero' capito il tuo incipt? Chi e' ferito? Io? Mai stato cosi' bene. E chi se n'e' andata, e dove? E perche' mai dovrei sentirne la mancanza?).
Davide -
Citazione molto bella, grazie. "Per raggiungere la verita'ci mancano dati sufficienti e processi intellettuali che esauriscano l'interpretazione di quei dati" e' una conclusione wittgensteiniana, che condivido.
Tuttavia il post non intende "risolvere un problema", sarebbe un'ambizione eccessiva. Il problema (vivere in una societa' di caste) e' tuttalpiu' degli inglesi, e se vorranno, se lo percepiranno come problema, e se ne saranno capaci, lo risolveranno loro. Io mi sono limitato a descrivere quello che credo di avere capito dal confronto tra le due societa' che conosco meglio.
Vorrei precisare una cosa. E' chiaro che avverto lo stesso disagio e sbigottimento che Riccardo ha manifestato nel suo post, vivendo in questo Paese.
Lasciatemi pero' aggiungere che se da sette anni vivo qui, una ragione c'e'. Londra e' una citta' straordinariamente internazionale. Quella che Riccardo ha descritto e' la Londra degli inglesi, ma poi c'e' tutta un'altra Londra.
Londra e' anche la citta' della Tate, del Southbank, del Barbican, di centinaia di gallerie private, una citta' dove ogni sera ci sono centinaia di concerti di ogni tipologia di musica del passato presente e futuro. Una citta' che non ha equivalenti in fatto di offerta culturale e artistica, nella quale se questi sono i tuoi interessi vivi benissimo, anzi non riesci a seguire tutto quello che vorresti.
Mi vengono in mente le parole della mia amica e collega della radio Marina Petrillo l'ultima volta che sono tornato in Italia, quando mi diceva "Tu sei quello che Londra ha fatto di te" intendendo, diceva, la capacita' di elaborare percorsi e collegamenti tra linguaggi artistici che non avrei potuto imparare se non qui.
Pero' una parte consistente di questo Paese invece non ha accesso a questi luoghi, li sente "altri da se'" e preferisce devastarsi di birra e musicaccia. Questo a me sembra un peccato, e io credo che dipenda proprio da questa societa' di caste chiuse che e' il vero problema dell'Inghilterra.
Problema per il quale non saprei peraltro quale soluzione avanzare. Mi fermo molto prima di risolvere "bruscamente, con il sentimento, i problemi dell'intelligenza". Provo solo a descrivere, tutto qui.
In ogni caso grazie ancora per la citazione, bellissima, l'ho riletta gia' alcune volte e mi sta dicendo parecchie cose. Molto molto appropriata. Una bussola.
Il padrone di casa mi ha detto che era meglio se ci parlava lui, essendo inglese, che cosƬ questi gli davano retta. Comunque io di lƬ a poco me ne sono andato a stare da un'altra parte (a Brixton, dalla padella nella brace!), anche perchĆØ i miei coinquilini erano dei ventenni coatti senza un minimo di abitudine alla convivenza.
In inghilterra alcuni giamaicani si comportano come bambini viziati da un ex-regime colonialista. Siccome sono stati schiavizzati e hanno praticamente costruito le infrastrutture del regno unito, si sentono in diritto di fare come gli pare e rispondono solo alla regina, come se avessero una dispensa dalle regole della convivenza civile. Hai presente "fai la cosa giusta" di spike lee? una roba del genere...
Alla fine non sai piĆ¹ con chi prendertela, se con gli inglesi schiavisti o con questi che sono delle bestie, fatto sta che ci rimetti tu.
Parlare di queste cose va bene perchĆØ questi devono capire che non possono fare come gli pare quando si trovano in una societĆ europea, come fanno normalmente, ma secondo me non ĆØ facile farglielo capire, e la razza c'entra relativamente. C'entra molto la loro cultura, che si puĆ² cambiare con un lavoro di educazione, mentre la razza non si cambia.
L'alternativa facile ĆØ eliminarli tutti o relegarli in ghetti, che non mi sembrano soluzioni accettabili nĆØ risolutive in una societĆ che si definisce democratica.
Nella societĆ multietnica e multirazziale tutti pagano per gli errori di tutti, e le ferite e le menomazioni di un popolo si ripercuotono sugli altri. L'unica salvezza ĆØ pensare che non sarĆ sempre cosƬ, e la convivenza a lungo termine diverrĆ pacifica. A londra sei, penso, in uno dei principali epicentri di questa situazione e ne subisci gli effetti ogni giorno.'' Spunto interessante credo
Per me era anche un po' troppo in effetti
ciao
Primule
Meno male che almeno "eliminarli tutti o relegarli in ghetti" non gli sembrano "soluzioni accettabili nĆØ risolutive in una societĆ che si definisce democratica".
Sai che a me non sembra affatto uno spunto interessante, quanto invece una piuttosto banale tirata razzista?
Dai, siamo seri. Il carnevale giamaicano e' una ricorrenza annuale che pur non avendo connotazioni religiose non e' diversa dal Natale per i cristiani, Diwali per gli induisti, ecc. Se impedisci alle persone di festeggiare le proprie tradizioni annuali, poi per forza si incavolano e ti mandano a quel paese, e ne hanno ben ragione mi pare.
Poi va beh, lo scritto se conosci un pochino Londra contiene degli aspetti di umorismo involontario: ma scusa, se non vuoi vivere insieme ai Giamaicani ti trasferisci da Vauxhall a Brixton? E la tappa successiva qual e' stata, Ladbroke Grove?
Primule -
Grazie per avere lasciato il tuo commento. Se ne hai altri dopo aver letto, ti leggo volentieri.
La tua intelligente analisi comincia nel punto giusto, dove termina la serie di vignette con cui (come mio solito) ho puntellato il mio post. E la tua postilla e' d'obbligo, e la sottoscrivo: non cambierei una virgola della mia esperienza britannica, perche' parecchio di quello che ho chiamato (un po' pomposamente) "evoluzione interiore" scaturisce da qui, da questa citta', da questi luoghi ultimamente ostili ma ancora ricchi di fascino, ricchi di spazi espositivi magnifici e di stimoli importanti. e le accuse di razzismo sono francamente fuori dalla grazia di dio.
Ma una cosa la posso e la voglio dire, anche se suonerĆ molto simile allo sfogo di chi ha fallito.
Io che lavoro a Milano, nella sede centrale della maggiore banca nazionale, che si fregia di autodefinirsi "the first truly European bank", vengo sistematicamente umiliato e marginalizzato da capi incompetenti, ostacolato da colleghi servili, scavalcato da figli di papĆ arrognati e incompetenti, prevaricato da raccomandati e ruffiani di ogni specie, etĆ e provenienza, che ottengono i migliori stipendi e le posizioni piĆ¹ interessanti.
E se tu, caro Fabio, o qualcuno degli amici e partecipanti al blog, lavorasse qui con me, subirebbe certamente il medesimo triste declino, ingabbiato tra dinamiche organizzative retrive, mentalitĆ feudali, ignoranza pervasiva, opportunismo a tutto campo.
E a nulla valgono cultura, istruzione, intelligenza, reattivitĆ e apertura mentale; sono anzi tutte qualitĆ che si pagano duramente.
Per questo invidio chi ha trovato un lavoro interessante e stimolante in una grande cittĆ del mondo (Londra o altro poco importa), anche se questa fosse la sola ragione per abitarci.
La veritĆ ĆØ che l'Italia sta sempre piĆ¹ diventando la "Land of mediocrity" per antonomasia, dove tutto si livella verso il basso, dove conformismo e servilismo trionfano ad ogno livello della societĆ .
Per me ora ĆØ troppo tardi, ma se tornassi indietro credo e dovessi decidere tra qualche becero inglese ubriaco e una massa di italioti che nella ressa della metropolitana iniziano giĆ al mattino a lamentarsi di tutto, so che non avrei dubbi.
Nicola
Nicola
Proprio cosi'. Sono stato a pranzo dall'altra parte del fiume con uno dei miei maestri nel lavoro che faccio, un direttore di ricerca inglese con il quale ho lavorato per alcuni anni. Tornando qui, attraversando il Millennium Bridge con la Tate alle nostre spalle e la cupola di San Paolo davanti, il sole che andava e veniva, il Tamigi increspato, il vento che ci portava via, le nuvole che correvano sopra le nostre teste, le parole dotate di senso, improvvisamente ho pensato: sono a Londra, ed e' proprio come essere in un film.
Ecco perche' siamo qui.
Nicola -
Ho lavorato in Italia per un periodo sufficiente acomprendere e condividere le tue parole. Anzi, hanno risuonato in me proprio, per assonanza con i miei ricordi.
Se il prezzo da pagare per evitare la cultura del pettegolezzo da ufficio (qui inesistente, o al massimo molto contenuto, per la mia esperienza) e' la freddezza dei colleghi che ti invitano a bere via mail invece che di persona, beh allora quasi quasi lo pago volentieri.
Credo che anche Riccardo concordi con me: la maldicenza qui e' assente, o molto contenuta, cosi' come sono assenti i gruppetti contrapposti, che invece fanno parte dei miei ricordi di lavoro in Italia.
Poi magari ti licenziano senza pensarci un decimo di secondo, come sta succedendo in questi tempi di recessione, ma le condizioni di lavoro sono orientate a un formale concetto di teamwork, strutturato in via gerarchica, dove tu hai un tuo compito e si svolgono periodiche riunioni per mettere insieme le tessere del mosaico. Che e' poi esattamente quello che succede negli Stati Uniti, altro Paese dove mi e' capitato di lavorare per alcuni periodi. E' un modo di lavorare orientato ai risultati, ma anche trasparente: se sei bravo vieni premiato, se non lo sei sei fuori dalla squadra.
Non e' bello, richiede energie, ma ha una sua logica. In Italia ricordo le logiche che descrivi tu, e non ne ho alcuna nostalgia.
Mi spiace comunque sentirti cosi', spero che le cose migliorino. Ti direi ci mandare qualche curriculum qui, ma non e' il momento. Pero' una cosa: la principale banca nazionale italiana non puo' non avere una sede nella City, hai provato a chiedere un trasferimento, anche temporaneo?
Marina -
Kudos al tuo intervento, straordinario come lo ha definito Nicola. Soprattutto di una lucidita' e completezza che meriterebbe una pubblicazione che vada ben oltre la ristretta cerchia dei lettori di questo blog.
Concordo sulla tua analisi, punto per punto, forse con un'unica eccezione. Ho seguito con interesse le recenti manifestazioni italiane sulla questione dei tagli alla scuola pubblica, tra l'altro da voi documentate molto bene, e mi sono trovato a confrontare la reazione vivace dei nostri connazionali con l'indifferenza con la quale gli studenti inglesi hanno accolto le salatissime tuition fees introdotte da Blair nel 2004.
Ne ho concluso che alla fine qui la divisione della societa' in caste viene accettata come un dato di fatto, mentre da noi viene almeno da una parte del Paese messa in discussione (come del resto, per fare un altro esempio, accadde qualche anno fa in Francia nel caso della riforma Villepin sul mercato del lavoro).
Per il resto c'e' certamente piu' trasparenza qui, come dicevo a Nicola.
Se fossero solo un po' piu' vivaci questi inglesi...
Grazie per il tuo intervento Marina, e ci sentiamo questo Giovedi' live and direct.
PerchĆØ questo post, per una come me lacerata tra diverse culture, ĆØ una miniera, un pozzo.
Grazie Fabio.
Curiosissimo di leggerti. Ben due nuovi gradi di liberta' si aggiungono all'analisi: Germania e Norvegia...
L'abuso di alcol, la corsa sfrenata al consumismo (per altro congelata al momento), al divertimento a tutti i costi, al dimostrare ricchezza, mi infastidisce sempre di piu', ma questa non e' che una parte di Londra, uno strato tra i tanti che si moltiplicano ogni giorno.
Ogni individuo ha la sua esperienza, personalmente ho avuto a che fare con una gran varieta' di persone e mi sono resa conto che e' facile farsi risucchiare da questa citta' che non ha anima, ma un insieme di anime e di centri (comunita') in costante movimento. Cio' che mi ha spinta a venire qui e decidere di trasferirmi e' la possibilita' di perdermi tra decine (centinaia?) di culture diverse e conoscere, scoprire, osservare. Forse il momento piu' brutto e' quando ci si rende conto che tutto e' transitorio, la citta' inghiottisce, fa sparire, fagocita e non si ferma mai.
Per quanto riguarda i londinesi (perche' qui si parla di Londra se non erro, e Londra e' veramente diversa da tutto il resto della nazione) ammetto che possono essere deprimenti a volte, ma da dove vengo io non sono molto meglio, sono solo di meno. E i tabloids secondo me si dovrebbero paragonare non ai giornali ma alla televisione italiana. Stendiamo un velo pietoso.
Nicola
Eppure l'Italia mi pare bellissima, perchĆØ non ci vivo. Ma so anche bene che non potrei piĆ¹ viverci. EpperĆ² mi manca ogni giorno.
Non so, non ĆØ un bell'intervento articolato. Non so neanche cosa volevo dire. Ma stasera ĆØ quello che passa il convento.
Tanto sono sicura che sul tema ci tornerai.
Myriam
Non so se capita anche a te di voltarti indietro e domandarti dove questi anni sono andati. Perche' hanno lasciato molti segni, ma sembrano anche passati alla velocita del suono. Questi anni stan correndo via come macchine impazzite, come cantavano i Kina.
Detto questo, sono d'accordo sulla pluralita' di anime di Londra, ma anche con il riconoscere a questa citta' un'anima diciamo cosi' mainstream, fatta di drinking estremo e shopping estremo. Per certi versi e' quella la cifra caratterizzante di questa citta'. La puoi evitare, ma devi metterci non poco impegno, perche' prova comunque a risucchiarti dentro.
Concertio interessanti da andare a sentire? Fammi sapere.
Nicola -
Capisco bene, purtroppo. Ho avuto la fortuna di trascorrere periodi di lavoro negli Stati Uniti, e per me l'opportunita' di viaggiare molto e poi trasferirmi a Londra e' arrivata da li' - con contemporaneamente dispetti continui che mi venivano fatti nella sede italiana, per cercare di ostacolarmi semplicemente perche' non ero uno di loro.
Vorrei pensare che il bene trionfa sempre, che oltre il tunnel di tribolazioni c'e' sempre una luce. Non sempre e' cosi', ma mi auguro di essere vicini di ufficio un giorno e di pranzare regolarmente insieme parlando di musica e cinema (qui eh, non li').
Arte -
Ho passato la mia Domenica con una cara amica dei primi tempi londinesi, concittadina tua e di Laura, che essendo tornata in Italia da due o tre anni mi diceva quello che Marina ha condensato nel suo intervento.
Quindi si', siamo fortunati e confermo che in quanto a favoritismi, se ci sono, sono ben nascosti perche' io non ne vedo. Proprio oggi, senza che chiedessi nulla, come riconoscimento per avere gestito bene un grosso progetto di ricerca ho ricevuto un buon aumento di stipendio, bonus e equities, e mi sono stupito di quanto il mio direttore e' stato generoso nel suo non richiesto riconoscimento pur in questi tempi di crisi, e di come pur senza tante trombe qui apprezzano il tuo lavoro. Tutto funziona in base a criteri di merito, almeno qui dove lavoro io.
"Eppure l'Italia mi pare bellissima, perchĆØ non ci vivo. Ma so anche bene che non potrei piĆ¹ viverci. EpperĆ² mi manca ogni giorno" e' uno dei piu' begli interventi che io abbia mai ricevuto in questo blog, perche' condensa in tre righe il modo in cui ci si sente stando lontano dal Paese nel quale si e' cresciuti, sapendo che non si potra' pero' mai piu' tornare senza sentire ancora una volta il desiderio di fuggire.
Non puo' essere espresso in modo articolato, perche' e' un pensiero che muta continuamente, che non riesci a fissare meglio di come abbia fatto tu.
Myriam -
Gia', grandissimo intervento, mi hai fatto venire voglia di rileggerlo.
Pensa: non ancora. Che vergogna. Andiamo insieme? Cosi' vedi anche dove ho appeso le tue foto (le tre delle Eolie sono la prima cosa che vedo aprendo la porta di casa).
Merita, se ti piacciono i documentari agrodolci sul passato, ma devi essere molto riposata prima di vederlo, perche' non c'e' una vera e propria narrativa che ti tiene attaccata allo schermo. E' come sfogliare un volume di fotografie.