Soul to soul

Per contrastare il freddo del quale parlava Lophelia nei commenti al mio ultimo post, Domenica mattina presto sono uscito di casa per arrivare alla National Gallery all'ora dell'apertura, quando ancora non c'e' nessuno. Altra abitudine che ripeto piuttosto regolarmente, da anni.

Alla National Gallery e' un vero piacere perdersi, senza seguire un percorso ordinato, mischiando periodi, stili, emozioni. Non importa quante volte ci sei gia' stato, scopri sempre qualcosa che ti era sfuggito durante le visite precedenti.

Protagonista assoluto della mia visita di Domenica e' stato un quadro di grandi dimensioni di Diego Velazquez, che rappresenta Gesu' dopo la flagellazione. Appartiene alla collezione permamente della National, anche se in questo periodo e' stato spostato, dalla sua sede originale all'interno della sezione dedicata al Seicento spagnolo al sotterraneo della Sainsbury Wing (dove e' in corso una bella mostra sull'arte sacra, meravigliosamente installata, con un'illuminazione fioca che favorisce una contemplazione meditativa e silenziosa).

Davanti al quadro di Velazquez sono stato per parecchi minuti, lasciando che entrasse lentamente dentro di me. E' un lavoro di una bellezza lancinante. Se fosse una canzone, credo sarebbe Sad song, la traccia che chiude Berlin. Come il capolavoro di Lou Reed, il quadro del maestro spagnolo ci lascia senza parole per la capacita' di trasformare il dolore in poesia purissima.

Pochi artisti sono stati capaci di trasformare il dolore in qualcosa di cosi' empaticamente tangibile. Lo sguardo indifeso di Gesu' ti entra nell'anima e non ti lascia piu'. Di quell'uomo, portatore di un messaggio realmente rivoluzionario, in senso pacifista e comunista, ti colpiscono l'infinita profondita' e, soprattutto, la terrena umanita'. Nella rappresentazione di Velazquez, Gesu' diventa davvero uno di noi, che condivide il nostro destino di pellegrini su questa Terra.

Mi sono venute in mente tante cose contemplando questo capolavoro, ma soprattutto le parole di Enzo, ascoltate lo scorso Venerdi' Santo a Bose, quando invitava ad adottare un modo altro di pensare, misurare la realta', reagire alle prove della vita, che sia alto e contemporaneamente umile.

Non e' facile, richiede motivazione e disciplina, ma sento che e' probabilmente l'unica direzione plausibile, l'unica capace di donare senso all'esistenza.

(Post dedicato agli ascoltatori di Uomini e profeti, programma che a me ha aperto mondi).

Commenti

Unknown ha detto…
Fabio, ma cerchi ancora un motivo all'esistenza? eh eh..
Anonimo ha detto…
Myriamba, ognuno di noi, a meno che non abbia l'invidiabile capacitĆ  di accontentarsi senza mai porsi un dubbio, credo cerchi un motivo all'esistenza. Qualcuno lo cerca ogni giorno, qualcun'altro solo in particolari momenti della vita.

Se conosci Fabio (e credo tu lo conosca quanto basta) non ti dovresti sorprendere nel leggere che, ancora una volta, sta cercando una via, una direzione in grado di donare senso all'esistenza.

A me sembra una dote straordinaria, quella di riuscire, ad ogni prova cui la vita ci mette di fronte, a rimettersi in discussione, a cercare una nuova via che dia senso all'esistenza.

Diversamente dovremmo cedere alla disillusione. Ma perchƩ farlo? Solo perchƩ abbiamo superato da un pezzo i 20 e anche i 30 anni?

Cercare ogni giorno un motivo alla nostra esistenza ĆØ ciĆ² che ci fa sentire vivi, che ci fa sentire ventenni anche se di anni ne abbiamo il doppio.

Quando la disillusione prenderĆ  il sopravvento saremo definitivamente vecchi.
Non credi?

gio
lophelia ha detto…
proprio stamani, camminando per andare al lavoro, pensavo che il senso ĆØ un'invenzione degli uomini - ma anche se ce ne accorgiamo guai a smettere di cercarlo.

Bellissimo post, Fabio. Grazie.
lophelia ha detto…
(ho visto il link alla mostra, dev'essere davvero bella. ZurbarĆ n non ĆØ da meno, e davanti alle sculture in legno policromo non resisto mai dal tirar fuori la macchina fotografica).
Fabio ha detto…
Grazie di cuore per i vostri interventi.

Tutti e tre gli atteggiamenti a me sembrano ugualmente accettabili, non farei una graduatoria di merito.

Ci sono persone che vivono la propria vita senza porsi troppe domande, altre che hanno fatto della ricerca di senso la finalita' della propria esistenza, altre consapevoli che il "senso" e' un concetto eminentemente umano (il protagonista del quadro di Velazquez, secondo il Vangelo di Tommaso ha pronunciato queste parole: "Alla fine, nulla di quanto ĆØ nascosto non sarĆ  rivelato, e nulla di quanto ĆØ celato resterĆ  nascosto").

Sono tutti atteggiamenti validi con i quali affrontare la vita, adatti a tipologie diverse di personalita', e forse a stagioni diverse della vita.

Gli eterni adolescenti mi affascinano molto, ma purtroppo devo riconoscere di non essere fatto cosi'.
artemisia ha detto…
Ma non ĆØ proprio nell'adolescenza che piĆ¹ si cerca il senso della vita?

Io l'adolescenza l'ho passata da un pezzo, ma continuo a cercare, e penso che il senso stia proprio qui, a non smettere mai di cercare. Non potrei proprio smettere, anche se per assurdo lo desiderassi.

Penso anche che probabilmente ĆØ vero che il senso ĆØ "un'invenzione degli uomini", se con questo si intende che il porsi la domanda in primo luogo (e ogni essere pensante se la pone, giungendo fortunatamente a conclusioni diverse)ĆØ una prerogativa umana, ĆØ nella nostra natura, cioĆØ: siamo qui per questo.

Scusate se mi sono allargata. Il quadro poi ĆØ bellissimo, la Nationa Gallery ĆØ un tempio e tu sei fortunato Fabio.
lophelia ha detto…
io l'avevo pensata un po' diversamente, ovvero che la ricerca del senso ci ĆØ indispensabile ma non vuol dire che il senso di per sĆ© esista, se non nelle nostre menti - e anche lƬ non sempre...
comunque la conclusione ĆØ la stessa, mai smettere di cercarlo.
Fabio ha detto…
Arte -

Non sono sicurissimo che il senso della vita si cerchi di piu' durante l'adolescenza. Forse si', ma la concezione del tempo, e della vita, di quando ero adolescente, era uno spazio nel quale tutto era possibile, e che non sarebbe mai finito.

Oggi le mie riflessioni sul senso della vita sono, in parte inconsapevolmente forse, ispirate dal trascorrere rapido del tempo, dalla perdita di alcune persone care, dallo stato di salute di altre.

Sono riflessioni in genere piu' cupe, con meno speranza di vedere trasformazioni positive nel tempo di vita che ancora rimane, piu' introverse e in parte rassegnate.

Il mio commento e' ispirato proprio da questo: nelle diverse stagioni della vita la ricerca di senso e l'interpretazione dell'esistenza si colorano in modo diverso. Evolvono, se vuoi.

"Siamo qui per questo" e' una frase che condivido, ma guardandomi attorno non sono sicuro che molti la pensino come noi. "Siamo qui per godercela e rimuovere tutti gli ostacoli al nostro godimento immediato" mi pare un paradigma piuttosto diffuso. Non nelle nostre immediate sfere di conoscenza forse, ma allargando lo sguardo un po' oltre, mi sembra di poter concludere che e' un po' cosi'.

Senza leggere nelle mie parole giudizi morali, mi raccomando, si tratta solo di un'osservazione (come dire che in Italia il calcio e' piu' seguito del cricket, entrambi sport di pari dignita').

Lophelia -

Mi trovi molto d'accordo sulla conclusione. Pero' credo che un senso ci sia. Dopodiche', il senso che cerchiamo e' basato sulla nostra esperienza e sugli strumenti limitati a nostra disposizione. Quindi non e' detto che ci si possa nemmeno avvicinare, in questa vita.

Sai quante volte mi e' capitato di invidiare gli animali di casa, che vivono giorno per giorno, senza le consapevolezze delle quali noi umani siamo stati crudelmente dotati?
Unknown ha detto…
io sono giunta alla conclusione che :"sono qui per caso, non c'e' senso all'esistenza, dopo la mia morte non c'e' niente e che non sono qui per cambiare il mondo ma per vivere assieme ad esso al mio modo, senza danneggiare altri essere viventi. Ineluttabilmente danneggero' la natura. Dopo la mia morte nessuno si ricordera' di me e non cambiero' neppure il mondo, come il 95% della popolazione. AMEN."
Fabio ha detto…
Beh, almeno hai molte certezze.
artemisia ha detto…
@Myriamba: Quindi tu hai smesso di porti domande? O non te ne sei mai posta?

@Fabio: Penso che l'infanzia sia l'etĆ  della meraviglia, l'adolescenza quella dell'inizio della ricerca, quella piĆ¹ esasperata, caotica, contraddittoria, bellissima. La fase in cui - a ragione - ancora si pensa di poter cambiare il mondo. Poi la vita ci cambia. Cambia il modo di porsi le domande e cambiano le risposte. Alcuni maturano, altri no. Non necessariamente c'ĆØ un merito in questo. Anzi, si paga un prezzo (spesso in forma di dolore).

Gli eterni adolescenti non mi affascinano affatto, in questo la penso diversamente da te. Come non mi affascinano gli eterni bambini, o quelli nati vecchi.

Mi affascina chi ha fatto un percorso, chi continua a stupirsi, chi non ha risposte certe ma lavora sull'ipotesi che quello che fa, e il modo in cui vive, abbia un significato anche se, forse, non ce l'ha. Mi affascina chi cambia idea, chi si trasforma, chi crede in qualcosa, chi si apre agli altri, chi accetta di non sapere sempre tutto, chi si contraddice, chi ascolta, chi prega, chi non ĆØ qui (solo) per godersela ma anche per assumersi una responsabilitĆ .

Secondo me "senso" e "responsabilitĆ " sono strettamente connessi.
Fabio ha detto…
Si' e purtroppo a me sembra che il concetto di responsabilita' non sia centrale come dovrebbe essere, perche' e' una di una forza sconvolgente.

Ognuno di noi, ogni giorno, compie scelte che hanno un effetto, a volte anche forte, sulle persone e sulle situazioni attorno a noi. In questo senso, credo che il mondo lo cambiamo, a volte in meglio e a volte purtroppo, spesso inconsapevolmente, lo rendiamo un po' peggiore per qualcuno. Magari qualcuno che non incontreremo mai.

Soltanto attribuendo centralita' al concetto di responsabilita' individuale credo che si possa dare senso alle nostre azioni, anche laddove, per citare il tuo bellissimo commento, ci abbandoniamo al fascino (per me supremo) della trasformazione e dell'apparente contraddizione.

La tua mi sembra un'interpretazione concreta, terrena, di "senso", che dovrebbe mettere d'accordo tutti.

Un percorso non necessariamente lineare, che da solo merita lo sforzo di esistere.
lophelia ha detto…
non ĆØ per fare la solita rompic*, per me l'adolescenza non ĆØ mai stata associata al voler cambiare il mondo: prima di rivolgere le energie fuori bisogna spenderle per capire il dentro, e costruirsi una base solida dalla quale cui poter agire. Proprio perchĆ© si parla di ResponsabilitĆ , questa deve poggiare su basi solide. In questo senso, vedo la ricerca del senso piĆ¹ legata all'etĆ  adulta: da giovani piĆ¹ che altro ci si guarda intorno cercando a fatica di orientarsi. Questo per me, ovviamente.
Il "cambiare idea" e il "contraddirsi" mi ispirano diffidenza e non mi pare possibile fondarci alcuna Etica: per me dovrebbe esserci una trasformazione nel senso di evoluzione (o stavamo dicendo la stessa cosa?), se no mi pare che si voglia dire che tutto ĆØ legittimabile.
E dopo aver rotto a sufficienza vi auguro buona domenica:)
artemisia ha detto…
Non capisco da dove ti venga fuori questa cosa del rompere, quasi quasi mi fai chiedere, per estensione, se sto rompendo io - penso invece che entrambe dobbiamo pensare che esprimere le proprie opinioni non sia "rompere"...

Comunque, preciso: nell'adolescenza, anche se non si pensa di voler cambiare il mondo (io ad esempio non ho mai avuto un pensiero simile) si pensa che sia possibile farlo. Io ad esempio lo pensavo: che fosse possible. Nell'etĆ  adulta si ĆØ spesso piĆ¹ disillusi (generalizzo), piĆ¹ focalizzati sul quotidiano, meno dugli ideali e piĆ¹ sulla pagnotta.
La "base piu solida" di cui parli tu alcuni la raggiungono, molti la perdono per la strada, e all'apertura dell'adolescenza si sostituisce il comodo "realismo" di chi non si pone piĆ¹ domande.Idealmente, il percorso dovrebbe essere di evoluzione, certo.

Io credo che il connotato piĆ¹ saliente della veritĆ  sia la contraddizione, piĆ¹ esattamente l'antinomia, e maggiormente dell'esistenza umana. Credo che contraddirsi non significhi voltare gabbana, ma sottoporsi costantemente a un'autocritica, eventualmente avere il coraggio di cambiare le proprie posizioni senza arroccarsi. Non si tratta di relativismo, ma di onestĆ  intellettuale. Diffido, invece, di chi non cambia mai idea.

E ribadisco anche: non tutto ĆØ legittimabile, assolutamente no. Ed ĆØ quando si ragiona con la propria testa e si ascolta il proprio cuore che si capisce veramente questo, non quando ci si aggrappa a principi indiscutibili a priori.
Fabio ha detto…
Voi temete di rompere, e pensate che invece tutte le volte che capitate qui mi domando se saro' all'altezza di reggere la discussione e rispondervi senza risultare troppo banale... Altro che rompere, i vostri commenti stimolano riflessioni preziose.

Sull'adolescenza, tendo a concordare con Arte, nel senso che nel "tutto e' possibile" che caratterizza quella fase della vita, rientra anche la possibilita' di cambiare il mondo. Radicalmente intendo, perche' come ho scritto piu' sopra a proposito di responsabilita', credo che ogni nostra azione rappresenti un micro-cambiamento che magari non trasforma, ma qualche equilibrio lo sposta. Se non ne fossi convinto, riprenderei oggi stesso a mangiare carne, mi comprerei un'automobile, smetterei di tenere i rifiuti divisi di la' in cucina, ecc.

Nell'adolescenza credi davvero che la tua generazione sara' valorialmente diversa da quelle che l'hanno preceduta, esprimera' valori di solidarieta' e rispetto tali da rendere il mondo il luogo di gioia condivisa che ha le potenzialita' per essere.

Poi le persone con le quali hai condiviso progetti e ideali fanno mutuo e figli, trovano lavori che assorbono energie e tempo, si concentrano sull'oggi e come dice Arte sulla pagnotta, che desiderano grande e saporita per se' e, a sentire quello che dicono, per i propri figli.

C'e' un bel film di qualche anno fa, starring Will Oldham, intitolato Old joy, che racconta questo assai bene, molto meglio di come potrei fare io.

Sul cambiamento: credo che piu' che cambiamento tu Arte stia parlando di apertura, di allargamento dei confini e della sfera di interessi. Anche attraverso lo strumento della contraddizione, naturalmente.

Un'evoluzione direi, piu' che una rivoluzione valoriale. Senza esprimere giudizi (chi segue questo percorso di evoluzione ha lo stesso "diritto di esistere" rispetto a chi invece lotta contro l'evidenza per mantenere una propria coerenza che immagino lo faccia sentire bene), posso pero' dire che solo con le persone pronte a contraddirsi, che accettano l'antinomia della quale le cose del mondo sono fatte, mi trovo bene. Perche' riconoscono la complessita' delle cose e la accettano, senza desiderare semplificarla.

Ecco, tornando per un momento al discorso su adolescenza/ maturita', credo che la consapevolezza di questa antinomia interna a tutte le cose sia per me stata una conquista della maturita'.

Il discorso e' lungo, e in cucina la pasta chiede di essere scolata.

Buona domenica, grazie per i vostri preziosi interventi (intanto che scrivevo qui ha messo di piovere ed e' uscito il sole: dopo la pasta, Regent's Park!).