88/ Una decisione complessa.



E' stato interessante il dibattito che si e' sviluppato ieri sera a Radio Popolare a partire da una serie di osservazioni che Chiara Ronzani e io abbiamo fatto sul sistema di immigrazione a punti proposto dalla ministra dell'interno britannica.

Sono convinto che la decisione di approfittare di un'opportunita' di lavoro all'estero non debba prescindere da una serie di considerazioni personali. In particolare dalla consapevolezza che l'ambiente che ci accogliera' potra' essere piu' ostile di come lo immaginiamo.

Emigrare implica la capacita' di cavarsela in tante circostanze impreviste senza la rete di protezione che abbiamo generato attorno a noi nella vita precedente. Io questo aspetto lo avevo un po' sottovalutato.

Cosi' come, per raccogliere la sollecitazione di una delle ascoltatrici che ci ha chiamati, si deve mettere in conto di affrontare parecchia solitudine. Una cultura non la comprendiamo mai dall'esterno, la dobbiamo sperimentare per capirla.

Io ho messo molta determinazione per tentare di adattarmi allo stile di convivialita' dei miei colleghi inglesi, per poi dovere ammettere con onesta' a me stesso che il pub e' l'ultimo dei posti dove voglio trascorrere una serata e smettere di provare, un po' di punto in bianco.

Questo mi ha portato a isolarmi un po'. E questa e' una cosa che al di la' delle farlocche dichiarazioni di principio su diversita' e inclusione, in un ambiente di lavoro in un modo o nell'altro ti fanno sempre pagare.

Emigrare per lavoro quindi e' una decisione complessa. Dobbiamo non sopravvalutare la nostra capacita' di adattamento. Un conto e' fare un viaggio, un altro e' porre le basi per trascorrere un periodo significativo della nostra vita a contatto con un'altra cultura.

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